La deontologia di noi giornalisti dovrebbe essere quel faro a cui guardare, quel codice e regole di comportamento per rendere la nostra comunicazione quanto più possibile vera e plurale. Al netto delle regole basilari, troviamo poi chi come il sottoscritto ha sempre manifestato nei suoi scritti, la propria idea politica avendo contestualmente, una vita politica di militanza e impegno civico, condivisibile o meno da chi mi segue o da chi ha fatto insieme percorsi politici anche su sponde opposte. E questo l’ho sempre dichiarato, con coraggio e rispetto, mai nascondendomi dietro paraventi ipocriti, riferendomi sempre alla deontologia del rispetto della persona, della dignità che non sono soggetti ad interpretazioni di parte o meno, ma sono valori senza i quali non può esistere neppure un minimo di rispetto deontologico. Da 50 anni chi mi conosce sa bene quale è stato ed è tutt’ora il mio impegno civico senza ricavare facili guadagni, beni, case, posti di lavoro: ho sempre vissuto con le mie forze, con il mio lavoro che mi permetterà tra sei mesi di godermi la pensione. Il problema nasce quando chi si ritiene di essere un “giornalista”, vendendo pure le proprie scarpe, mette sotto i piedi non solo la deontologia, ma la propria dignità di essere umano. E una delle prime regole è quella che un giornalista non dovrebbe mai strumentalmente attaccare un collega, ma confrontarsi sui temi. Chi si professa “giornalista” deve guadagnare per la propria attività, ma lo dovrebbe fare con la propria testa, le proprie forze, le proprie idee, non quelle vendute al bottegaio di turno, al pagliaccio di turno: comunicare è una cosa seria, richiede principalmente serietà e un po’ di serietà non guasterebbe, a prescindere dalle proprie idee o posizioni. E questo vale principalmente anche per chi compra notizie, vale per il bottegaio di turno, per il pagliaccio di turno, per il faccendiere di turno.