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Peppino Landolfo “Ciao Diego. L’emozione fermò anche la mia mano nel premere il pulsante di scatto della fotocamera. Il calcio eri tu”

Sono seduto alla scrivania, guardo il monitor mentre scrivo. In  basso a destra si accende il led rosso, news in arrivo. “Diego Maradona è morto, l’annuncio dei media argentini”. Ho pensato ad una fake, speravo in una stupida fake. No, non era una fake, era la verità, la triste verità, la news che mai avrei voluto leggere. Ho abbracciato Diego il secondo giorno che ha messo piede al San Paolo, nel sottopasso che porta agli spogliatoi.  Da reporter ultrà, ero con mia moglie Angela e mio cognato Lorenzo che immortalai al fianco di Diego. Con me anche Gennaro Montuori e il gruppo degli ultras storici delle Curve A e B. Nei mesi successivi e negli anni delle emozioni infinite e indimenticabili, delle storiche vittorie, ho avuto modo di incontrarlo in occasioni che non erano legate al calcio, ma alla sua grande bontà, alla sua disponibilità ad aiutare tutti, chi era in difficoltà. Lontano dai riflettori. Episodi di estrema generosità che non hanno avuto mai lo stesso spazio mediatico che invece hanno riservato, con durezza e irriconoscenza, alla sua vita privata nei momenti tristi. Mi ritrovai una volta a poter effettuare alcuni scatti fotografici durante una visita che Diego aveva riservato ad un bambino malato che aveva bisogno di  cure costose, dimostrando una generosità infinita: episodio che fu rivelato dopo anni e mai pubblicizzato. L’emozione fermò anche la mia mano nel premere il pulsante di scatto della fotocamera. Ecco ho voluto ricordare così Diego, nella sua grandezza umana: quella sui campi di calcio la conosciamo tutti e sarà immortale. Al ricordo riesco solo a piangere.

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