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11 ARRESTI PER TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI – I RIFIUTI CAMPANI DESTINATI AL NORD FINIVANO IN CAPANNONI ABBANDONATI O VENIVANO SOTTERRATI IN CAVE DISMESSE

7 OTTOBRE 2019 – Si sono concluse nella mattinata odierna le operazioni condotte dai Carabinieri Forestali dei Gruppi di Milano, Lodi, Pavia, Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro che hanno smantellato un sodalizio criminoso dedito al traffico illecito di rifiuti che è si reso responsabile del riempimento di numerosi capannoni abbandonati nel Nord Italia e di tombamento di rifiuti in una cava dismessa in Calabria (Lamezia Terme).

L’attività, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Milano nei confronti di 11 responsabili tutti italiani, alcuni dei quali operanti nel settore dei rifiuti. Sono state eseguite perquisizioni presso nr. 4 ditte e impianti di trattamento rifiuti nelle province di Como, Trento, Napoli, Catanzaro e sono stati sequestrati, ai fini della confisca nr. 4 automezzi utilizzati per la realizzazione del traffico di rifiuti.

L’ indagine della DDA di Milano costituisce la prosecuzione dell’Operazione “Fire Starter” che aveva portato, nell’ottobre del 2018 all’arresto di 6 soggetti responsabili del traffico di rifiuti riferito al capannone di Corteolona (PV) e del gravissimo rogo del medesimo la notte del 3 gennaio 2018. Le indagini riferite ai responsabili del rogo avevano infatti “acceso un faro” su dinamiche criminali di ancor più ampia portata che sono state oggetto degli accertamenti sia di carattere tradizionale che tecnico (intercettazioni telefoniche, telematiche, videoriprese) da parte dei Carabinieri Forestali di NIPAAF[1]di Milano e Pavia.

L’Autorità Giudiziaria ed i CC Forestali sono quindi riusciti ad individuare una organizzazione criminale capeggiata da soggetti di origine calabrese, tutti con numerosi precedenti penali, i quali attraverso una complessa struttura fatta di impianti autorizzati complici e trasportatori compiacenti, società fittizie intestate a prestanome e documentazione falsa, gestiva un ingente traffico di rifiuti urbani e industriali provenienti da impianti campani (in perenne condizione di “sovraccarico”) i quali, attraverso una vorticosa serie di “passaggi” tra impianti a volte reali a volte fittizi, finivano in capannoni abbandonati in diverse aree industriali del Nord Italia che venivano riempiti e poi chiusi saldandone addirittura le porte. È stata, altresì, documentato dagli investigatori attraverso monitoraggio GPS dei camion e pedinamenti a distanza, l’interramento di un carico di 25 tonnellate di rifiuti presso una cava dismessa di Lamezia Terme, reato poi interrotto in flagranza.

I rifiuti provenienti da impianti dell’hinterland Napoletano erano intermediati da una società di Acerra la quale si occupava di individuare destini “apparentemente leciti” a rifiuti non trattati come dovuto. Ciò avveniva grazie alla disponibilità di trasportatori “di fiducia” ed al ruolo fondamentale svolto da un impianto di trattamento autorizzato in provincia di Como il quale fungeva da reale “snodo” del traffico, garantendo al sodalizio criminale un “destino formalmente corretto” dei vari trasporti. In realtà i rifiuti solo apparentemente venivano trattati presso l’impianto comasco, in realtà venivano destinati tal quali a riempire capannoni dismessi, ad essere abbandonati in ex aree industriali, ad essere interrati. I trasportatori compiacenti venivano scortati di volta in volta da apposite staffette che li guidavano nel sito abusivo “del momento”.

A disposizione del sodalizio anche una professionista in campo ambientale di Como, la quale, dietro compenso, prestava la sua preziosa consulenza tecnica per la “creazione” del complesso sistema documentale utilizzato per “schermare” il traffico. Il tutto nella piena consapevole del profilo criminale dei suoi clienti.
Grazie all’opera di “raccordo” condotta dalla DDA di Milano, singoli e diversi fascicoli penali relativi ad episodi di abbandoni o discariche di rifiuti in tutto il nord Italia sono stati analizzati in maniera unitaria e ne è stata individuata la riconducibilità al sodalizio criminale. Con riferimento al solo hinterland milanese sono state ricondotte all’operato degli indagati i capannoni colmi di rifiuti sequestrati a Gessate, Cinisello Balsamo e area Ex Snia di Varedo.
Il destino “calabrese” dei rifiuti, che ha interessato l’area del Lametino notoriamente caratterizzata da forte radicamento di cosche di ‘ndrangheta, ha riguardato anche una cava dismessa ove i rifiuti venivano interrati, cava in passato già oggetto di una sequestro perché utilizzata per l’occultamento in fusti di armi e droga.

Nel momento in cui i numerosi sequestri di siti di stoccaggio illeciti nel nord Italia hanno “allarmato” il sodalizio criminoso e reso più complesso il reperimento di siti abusivi al nord, si è assistito pertanto ad una “inversione di flusso” e, grazie a contatti con le cosche del territorio lametino, sono stati individuati i destini illeciti utili a proseguire la frenetica attività di smaltimento illecito di rifiuti ed i connessi profitti.
Ciò in virtù del fatto che, offrendo agli impianti in difficoltà, costi di smaltimento inferiori a quelli elevatissimi delle discariche o degli inceneritori, la domanda di mercato gestita dall’associazione criminale era praticamente inesauribile.

Lo “smaltimento” in realtà si tramutava nella realizzazione di discariche abusive per oltre 14.000 tonnellate di rifiuti di ogni natura, il volume complessivo di illeciti profitti è stato stimato in oltre 1.700.000 euro con riferimento all’anno 2018.
I profitti illeciti poi, transitati presso i conti delle società coinvolte ed apparentemente riconducibili a prestazioni nel settore dei rifiuti venivano “drenati” attraverso significativi prelevamenti in contante e ricariche su carte postepay utilizzate ad hoc, evitando cosi la tracciabilità dei flussi di denaro.

A connotare l’atteggiamento spregiudicato della banda anche un tentativo di sequestro di persona, accertato nel corso delle indagini, ai danni di un imprenditore campano per ottenere il pagamento immediato di trasporti illeciti di rifiuti effettuati per suo conto.

L’indagine che sin da subito ha visto coinvolti in ruoli chiave del sodalizio criminoso soggetti calabresi pluripregiudicati ed uno dei quali già coinvolto nelle operazioni contro la ndrangheta quali “Tenacia” e “Infinito Crimine”, ha altresì evidenziato un caso di infiltrazione criminale nella stessa società da parte dei calabresi i quali intercettati la definivano il loro “Feudo”.

Partendo da una forma di illecita collaborazione con l’impianto di trattamento rifiuti di Como per agevolare l’abnorme flusso di rifiuti gestiti, gli indagati calabresi hanno adottato atteggiamenti sempre più “invasivi” sulla società arrivando ad utilizzare personalmente gli uffici della ditta, i mezzi, il carburante e le autorizzazioni. Ciò ha determinato poi la proprietà della ditta, un imprenditore lombardo fiaccato anche da problemi economici e giudiziari, alla cessione della stessa al gruppo criminale attraverso l’intestazione ad un prestanome appositamente designato.
Altamente significativa dello stato di soggezione dell’imprenditore lombardo e delle modalità di infiltrazione utilizzate dagli indagati è la stessa definizione che ne dà l’imprenditore ovvero “gente che viene a casa tua e anche se non ti trova, si mette lì e dice : ora io DEVO mangiare la pastasciutta con te”.

Emblematico della vicinanza agli ambienti di ‘ndrangheta anche la conversazione tra due pregiudicati calabresi i quali discutendo animatamente su una controversia legata a somme di denaro ne rimandano la definizione a quando “saranno a tavola con i cristiani di Platì e San Luca e si vedrà chi ha ragione e chi ha torto”.

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