Una famiglia africana diventa italiana Grazie a Salvini e al sindaco Dell’Aversana. Tre bimbi, il papà impiegato in un caseificio, è immigrato da 20 anni
fonte Corriere del Mezzogiorno – Piero Rossano Cittadinanza al padre in base a un decreto di Mattarella su proposta del Viminale. Lui è Assam Zampou, africano del Buriana Faso in Italia da 20 anni. Ieri mattina hanno ottenuto la cittadinanza italiana anche i suoi tré figlioletti grazie a una norma che il sindaco Giuseppe Dell’Aversana ha applicato. Da Sant’Arpino storia di accoglienza a lieto fine. Sarifaton Zampou è una bambina di colore dalla faccia paffuta e dagli occhi nerissimi. Il suo viso è seminascosto da una cascata di capelli riccioli, il 26 agosto prossimo compirà 9 anni. Quando ieri mattina è entrata nella sua classe di terza elementare al suono della campanella era ancora una immigrata, figlia di genitori provenienti dal Burkina Faso. Quando è tornata a casa a Sant’Arpino dalla scuola della vicina Frattaminore ha saputo di essere diventata italiana. E con lei il fratellino maggiore Abdoul Latif, 13 anni ancora da compiere e già calciatore provetto, e l’ultimo della nidiata, Abdoul Mussab, di soli 4 anni. Sarifaton non ha dato peso alla vicenda. Come fa spesso in assenza della mamma e del papa, l’unico che ha un lavoro in famiglia, ha messo la pentola sul fuoco e quando l’acqua è arrivata al giusto grado di ebollizione ha calato gli spaghetti. In un altro pentolino c’era del tonno per il condimento. «A 5 anni e mezzo racconta con orgoglio Abdoul Latif già era in grado di cucinare». A poco più di due mesi di distanza dall’attribuzione della cittadinanza italiana al padre Assam Zampou per decreto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, su nulla osta del ministero dell’Interno guidato da Matteo Salvini, (la firma è quella di Gerarda Maria Pantalone, già prefetto di Napoli e oggi capo del Dipartimento Libertà civili e Immigrazione del Viminale), da ieri anche i piccoli di famiglia possono dirsi italiani. E questo per effetto di due distinte normative. Assam, 42 anni, ne ha fatto richiesta dopo 18 anni di permanenza nel nostro Paese e potendo vantare un contratto di lavoro regolare. Sul suo conto (e sulla sua condotta) – lo dice la legge sono state esperite una serie di verifiche e solo al termine di innumerevoli passaggi burocratici il 29 ottobre scorso si è visto riconosciuta la cittadinanza. I suoi piccoli l’hanno invece ottenuta in base all’articolo 14 della legge 91 del 5 febbraio ’92. «Il minore convivente con il genitore che acquista la cittadinanza italiana – recita la norma – in automatico acquista la cittadinanza italiana con attestazione del sindaco». Il primo cittadino in questione è il democrat Giuseppe Dell’Aversana. Ieri mattina, prima di infilarsi nelle faccende di giornata e di professione – insegna matematica alle scuole medie di Succivo, sempre nella zona Atellana – ha firmato tutte le carte. Il funzionario dello Stato civile del Comune di Sant’Arpino, Nicola Della Rossa, ha fatto il resto. E il piccolo centro del Casertano ha scritto l’ennesima storia di integrazione degli ultimi anni. Non solo a parole. Dal 2016, da quando Dell’Aversana è diventato sindaco, sono stati già ö i bambini figli di immigrati che hanno ottenuto la nazionalità italiana. Non solo africani. Tra di loro ci sono figli di indiani, pachistani, albanesi, dominicani. Tutti i loro genitori, chi più, chi meno, hanno alle spalle storie e drammi come miseria e guerre civili da cui fuggire. Assam Zampou e la moglie Alima, che l’ha raggiunto in Italia solo più tardi e che non ha ancora ottenuto la nazionalità, sono fuggiti dalla pr ovincia di Boulgou, nel Sud Est del Burkina Faso (ex Alto Volta). Il capofamiglia, dopo aver risieduto anche a Reggio Emilia, è arrivato in Campania e pian piano ha trovato un lavoro stabile. Oggi fa il casaro al caseificio «Pupatella» di Cardito. Un lavoro dignitoso, che lo tiene fuori casa fino a notte ma grazie al quale sta garantendo un futuro ai suoi figli. «Ciò che più mi colpisce di loro —nota infatti la signora Annamaria, docente di lettere e proprietaria dell’appartamento dato in fitto ai Zampou — è l’onestà, la moralità, la compostezza di queste persone. Non ho avuto alcuna remora ad accoglierli come miei inquilini e a distanza di un anno posso dire che è stata una esperienza che mi ha arricchita». La dimora sorge esattamente alle spalle del vecchio Municipio di Sant’Arpino, chiuso da tempo immemore, in via Cesare Augusto. La padrona di casa ha tenuto per sé un’abitazione al piano terra, quando si arriva sembra di essere di fronte ad una dépendance. La famiglia ospite è invece in un appartamento al primo piano dell’edificio di fronte. I due corpi di fabbrica sono divisi da un’aia, intorno girano galline, n suono di un clacson alle 16.30 annuncia fuori dal cancello l’arrivo del più piccolo da scuola. Sarifaton imbraccia l’ombrello, attraversa tutto il cortile di corsa e corre incontro ad Abdoul Mussab. Che di scendere dall’auto nella quale ci sono altri bambini di ritorno dall’asilo non ha proprio voglia. Si gioca, si ride. Tutti assieme. Il colore della pelle non conta per i piccoli. In questo lembo d’Italia come appare lontana la eco degli ultimi drammi dell’immigrazione, dell’immenso cimitero che è diventato il Mediterraneo. Della crescente insofferenza di una parte degli italiani verso gli stranieri. La curiosità del cronista, anzi, coglie alla sprovvista il più grande dei tre bimbi. «Se conosco Salvini? E chi è? A me piace solo giocare al calcio» ribatte Abdoul Latif. E corre via, con la tuta della Grumese attaccata addosso, come una seconda pelle.