Grumo Nevano, NAPOLI: CON SIVORI E ALTAFINI I PRIMI SOGNI SCUDETTO

Il doppio colpo grosso riesce a Roberto Fiore. Estate 1965, estate di speranze e rinascita per la squadra del Napoli. Pesa quel calvario di due anni in serie B, ma ora si torna finalmente nella grande platea della serie A. Oltretutto in un grande stadio, il San Paolo di Fuorigrotta, che da quattro anni e mezzo ha sostituito il vecchio impianto del Vomero. L’anima della società è sempre il comandante Achille Lauro, presidente onorario. Ma alla guida c’è lui, Fiore, imprenditore allora con casa in via Scarlatti al Vomero, presidente di una società diventata per azioni solo un anno prima con capitale di 120 milioni.

Chi ha detto che anche a Napoli non si può sognare uno squadrone, non possono arrivare grandi campioni, non si può mirare in alto? Fiore fiuta un doppio colpo in una sola estate. I campioni sono di quelli che nella tv in bianco e nero, in immagini trasmesse dai televisori dei bar, hanno mostrato numeri da fenomeno. Sono loro: l’argentino Omar Sivori il «cabezon» e il brasiliano Josè Altafini bollato a fasi alterne come il «coniglio» per l’abilità nell’evitare calci alle gambe.
Non è epoca di contratti miliardari compresi diritti di immagine, non è epoca di campioni sommersi da tatuaggi in compagnia di veline e attricette. La sregolatezza, unita al genio, è la beffa di un tunnel condito da olé come usa fare Sivori. O, al massimo, sempre come ama il «cabezon», i calzettoni srotolati in basso. Il gusto di mostrarsi campioni superiori agli altri, la voglia di dimostrarsi numero uno. Fiore avvia le trattative con la Juventus, dove Sivori ha giocato per otto anni. Ci sono difficoltà, si racconta di una telefonata risolutiva di Lauro nientemeno che all’avvocato Agnelli per sbloccare l’impasse. Il comandante, da vero marpione, tira fuori la mossa di ordinare due motori Fiat per le sue navi. E favorisce il colpo. I tifosi sognano. Estate di faville calcistiche in una Napoli con il Comune nelle mani della Dc dopo gli anni del dominio monarchico di Achille Lauro. Una Napoli con sindaco Nando Clemente, alle prese con i problemi politici di alleanze con i socialisti e una grana giudiziaria. Una Napoli dove la tangenziale non esiste neanche in un libro di sogni, dove l’oscar della moneta assegnato alla lira nel febbraio precedente per la ripresa italiana è un tuono lontano, specie nei quartieri popolari dove il contrabbando di sigarette è industria. A questa Napoli, il presidente Fiore, che pure del quartiere popolare del Vasto è originario, regala la gioia di far diventare il Napoli una grande squadra. I tifosi hanno ormai abbandonato i ritrovi di via Scarlatti al Vomero e si concentrano alla Galleria Umberto. Commentano, ipotizzano, prevedono. Sivori a Napoli ci arriva volentieri. Negli ultimi tempi, il suo rapporto con l’allenatore juventino Heriberto Herrera non è buono. A Napoli può cercare una rivalsa. Oltre ai due motori per le navi del comandante, il cartellino del «cabezon» viene pagato 70 milioni. Titoli in visibilio confeziona la redazione sportiva del Mattino, da tre anni nella nuova prestigiosa sede di via Chiatamone, guidata da Riccardo Cassero, uno degli allievi prediletti del maestro Gino Palumbo ormai in carriera a Milano. Omar Sivori arriva in treno, alla stazione Mergellina. Lo aspettano diecimila tifosi che assediano i binari e strozzano il traffico, non certo paragonabile a quello di oggi, dove dominano le Fiat 600 alla portata di più tasche.
Ma Sivori non arriva da solo. Gli viene affiancato un fior di centravanti, quel Josè Altafini anche lui reduce da stagioni vincenti, ma al Milan. Anche lui viene da mesi di «indesiderato», lo accusano di aver fatto perdere uno scudetto al Milan per i suoi scontri con l’allenatore Gipo Viani. Anche questa cessione non è semplice, ma Felice Riva, presidente del Milan, preferisce dare Altafini al Napoli che non è una concorrente allo scudetto. Viene pagato 280 milioni, con una clausola speciale: se, nei successivi tre anni, il Napoli vende Altafini a Inter, Juventus, Fiorentina o Bologna, deve pagare una corposa penale. Anche Altafini viene accolto, stavolta all’aeroporto di Capodichino, da ben 5000 tifosi. Due colpi grossi che fanno vendere subito 35mila abbonamenti. Una squadra vincente, guidata da Bruno Pesaola, il sornione e furbo «petisso». Ci sono Altafini e Sivori, ma anche Canè, Bean, Montefusco, un giovane Juliano. In porta Bandoni e in difesa il capitano Ronzon, con Panzanato. Ricordi di bambino, in una squadra che tre anni fa il «Guerin sportivo» ha giudicato una delle dieci più divertenti degli ultimi 50 anni. Una squadra che arrivò terza nella prima stagione al ritorno in serie A. E vinse il suo primo trofeo internazionale: la coppa della Api. È diventata da collezionisti, la maglia di allora: bianca con fascia trasversale azzurra che scende dalla spalla sinistra. Il primo Napoli da sogno, ma che estate quella magica del 1965.

fonte IL MATTINO di Gigi Di Fiore