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Grumo Nevano, “CON LA CAMORRA IO NON MI SIEDO A PARLARE”. Amato Lamberti.

Il 6 aprile sarebbe stato il compleanno di Amato Lamberti. Al Sociologo, scomparso qualche anno fa, si deve il ricordo di cosa significa agire per una rivoluzione dei comportamenti civili. Ma cosa vuol dire oggi essere come Amato Lamberti?

fonte www.ilmediano.com

Abbiamo sconfitto la mafia e nessuno ci ha detto niente? Su una delirante frase di Renzi ci torneremo dopo, prima bisogna spiegare a chi è dedicato questo ricordo con lo scopo di intuire al meglio quanto ancora c’è da fare. È inevitabile non fare i conti con un’epoca dove si destrutturano giorno dopo giorno le norme, i valori e le ambizioni di questa realtà regionale. La realtà di un territorio che è dotata di una sua forte anima intensa, una brillante anima ricca di vigori e di amare constatazioni che impediscono il raggiungimento dei primati tanto agognati. È difficile non amare questa città e, soprattutto chi la vive, deve dividere il cuore tra riconoscimento e rabbia nei confronti di chi le ha dato nel tempo carezze e ferite.

Amato Lamberti fu tra coloro che accarezzarono Napoli con rispetto e con l’umiltà di chi possiede il dono del “sentire”. Gli studi in Sociologia, il giornalismo di frontiera, le esperienze politiche, le ricerche scientifiche oltre i clamori dei “divi dell’antimafia”, le analisi del territorio durate una vita, la lotta sociale, la denuncia, le risorse di uno storico che ha insegnato metodologie nuove a tante persone impegnate a sentire. Sentire gli affanni, sentire le necessità, sentire le possibili soluzioni, sentire quell’anima che, da sempre, ha sete di protezione. Oggi più che mai c’è sete di mentalità collettiva come quella che possedeva Amato Lamberti.

Oltre a lottare contro i tanti volti della camorra, lottò per la difesa dell’ambiente, creò commissioni per denunciare le terre contaminate, quando parlare di “terra dei fuochi” appariva come il divagare di fanatiche follie. Quel Sociologo, quel semplice osservatore, possedeva il carattere intenso di chi non si fermava alla retorica, di chi con puntuale costanza lottava contro la simbiosi tra crimine organizzato e amministrazioni governative. Di Lamberti restano le sue intuizioni e il suo carisma ereditato da chi continua a studiare e denunciare, è viva la sua volontà di aiutare i ragazzi, “fondamentali per il cambiamento”, così come li definiva, ed è con questo principio che ogni anno si svolge un Premio Nazionale che porta il suo nome e che attraverso borse di studio spinge i giovani a continuare le ricerche sull’analisi del territorio. Ma ciò che soprattutto i ragazzi dovrebbero oggi conoscere di Amato Lamberti è la caratura morale di una sana e inestimabile identità partenopea, ed è quella che andrebbe emulata, condivisa, messa in pratica, adottata come idea per agire civilmente.

Non molto tempo fa subito dopo le stragi di Budapest, il premier Renzi osò dichiarare “Sconfiggeremo il terrorismo come abbiamo sconfitto la mafia”, una breve fulminea e surreale osservazione lasciata nel dimenticatoio e di sicuro sottovalutata. Dire una frase di questo tipo, dirla davvero, dirla gridando a petto in fuori, sottintende il triste tentativo demagogico di zittire un popolo spaventato, ma soprattutto lascia trapelare un’altra lucida e assurda follia: siamo ancora in uno stato di totale assenza del sentire, in cui l’apparenza vince sull’emergenza e dove si ha il coraggio sfrontato di dire quella frase. Viviamo un tempo dove è meglio fingere piuttosto che notare quanto in Italia la cultura della mafia sia ancora viva nelle trame dell’agire politico, sociale ed economico dell’intero paese.

Uomini come Lamberti decidevano di non accontentarsi con scampanellanti vincite di guerra alleandosi con il nemico piuttosto che abbattendolo. “Con la camorra non ci si siede a parlare, non è possibile discutere, mi rifiuto di legittimare politicamente la camorra, il nodo è: abbiamo il coraggio di rompere il meccanismo del silenzio? Io non ci sto, non accetto di vivere in una regione dove esiste la camorra” ripeteva in un suo discorso. Non si vince accontentandosi delle apparenze, si vince adoperandosi affinché il benessere non sia il dipinto mediatico dei bei panorami delle cartoline italiane, si vince scendendo in campo dove il panorama è quello più buio, dei vicoli, quello dei quartieri della droga, quello della corruzione, quello dove il benessere è contaminato dai tanti che dicono “abbiamo vinto!” magari ballando sulle ossa delle vittime.

Abbiamo bisogno di figure come quel Sociologo, scomparso troppo presto nel 2012, un protagonista del fare, che non avrebbe gridato alla vittoria e che avrebbe continuato a denunciare, tentando nuove soluzioni senza voltare lo sguardo altrove, senza dimenticare, ad esempio, gli occhi vitrei dei tanti bambini che sono morti per quella spazzatura infossata sotto mezza Italia, quei bambini non possono vedere più il futuro per cui forse vale ancora la pena lottare, quei bambini non potranno mai più contraddire l’espressione “Abbiamo sconfitto la mafia”, quei bambini, senza bonifiche, continueranno a morire, esili, innocenti, con il sangue mescolato al veleno delle chemioterapie, continueranno esanimi ad essere disperatamente cullati da madri distrutte vestite di nero, zittite e soffocate dall’indifferenza. Il 6 aprile sarebbe stato il compleanno di Amato Lamberti: un uomo. Il ricordo di chi si dedicò all’azione. Abbiamo bisogno di un esercito di tanti Amato Lamberti. Tanti. Buon compleanno Professore.

OSSERVATORIO SOCIALE

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