Ora le cosche preferiscono usare le bustarelle. Comprando politici e funzionari, in modo da moltiplicare gli affari. E infiltrarsi ovunque. Un salto di qualità che soffoca l’economia
fonte http://espresso.repubblica.it
stralcio dall’articolo a firma di Lirio Abbate
Le aule dei tribunali ci raccontano continui malaffari che mettono insieme mafiosi e corrotti. Non è un caso se nelle ultime indagini sulla criminalità organizzata i boss siano sempre più spesso in compagnia di dirigenti e impiegati della pubblica amministrazione, politici, magistrati, appartenenti alle forze dell’ordine, accusati di essersi piegati a colpi di mazzette e di avere in questo modo avvantaggiato i clan.
I soldi cementano complicità silenziose, mentre attentati ed esecuzioni mobilitano i mass media e la reazione delle istituzioni: le pene in questi casi sono dure e la prescrizione scatta solo dopo decenni. Con le mazzette, poi, si possono costruire catene di collusione, inanellando nuove pedine sulla scacchiera di potere delle cosche: un ingranaggio che lentamente può contaminare interi settori del Paese. E oggi i boss sono quelli che hanno a disposizione più denaro liquido da spendere.
I clan si trasformano in cordate, con imprenditori, politici, funzionari di riferimento che vengono poco alla volta inglobati nella macchina criminale: finiscono a libro paga e si ritrovano ad essere parte attiva della congregazione. Nei primi anni Ottanta, quando i boss decidevano la spartizione degli appalti, in Campania e Sicilia venne creato il “tavolino” attorno al quale si sedevano mafiosi, imprenditori e uomini di partito che si spartivano gli affari. Erano soggetti distinti, adesso invece stanno diventano un’unica entità. «In realtà corruzione, criminalità economica e criminalità mafiosa sono tre facce di un’unica realtà. La criminalità mafiosa trae costante alimento dalle prime due», scrivono i magistrati.
LA MACCHINA DEGLI APPALTI
Le cordate sanno ben sfruttare le gare d’appalto con il meccanismo del massimo ribasso. Creano pool di ditte, che presentano offerte con percentuali di sconto molto simili tra di loro, variando solo le cifre decimali. Questa operazione consente di spostare la media delle offerte in modo che alla fine vince sempre una impresa del gruppo, mentre le altre rientrano nella partita con subappalti o altri contratti.
Le interdittive dei prefetti fanno meno paura degli ordini di arresto. Sono misure amministrative, non si rischia il carcere: l’imprenditore può fare ricorso al Tar, che spesso accoglie gli appelli. E al limite, basta cedere la società a un altro prestanome per ricominciare il business. Così questo cancro si è diffuso in silenzio.
I magistrati non hanno dubbi: «La corruzione è un fenomeno assolutamente dilagante perché è stato per troppo tempo tollerato, in qualche modo giustificato e quindi non efficacemente contrastato né a livello giudiziario né a livello di prevenzione». Non solo: «Vi è stato un deciso arretramento su questo fronte, quando sono state assicurate ampie prospettive di impunità per il falso in bilancio, che è la premessa di ogni accumulazione di denaro nero finalizzato al pagamento di tangenti a politici e mafiosi e, quindi, rinunciando a uno strumento indispensabile per il controllo sulla trasparenza in campo economico e imprenditoriale».